“Libertà ed eguaglianza di tutti gl’uomini secondo i dettami del diritto naturale; sovranità popolare; diritto di resistenza contro i regimi tirannici”, lo dettavano, già il 4 luglio 1776, la “Dichiarazione d’indipendenza” delle tredici Colonie Unite e la “Dichiarazione dei Diritti”. E per questo dal 1776 al 1783 ci sarà la guerra d’ “Indipendenza”, il 1783 la “Pace di Versailles”, e, nel 1789, la “Costituzione degli Stati Uniti d’ America”, con la proclamazione solenne degli stessi principi da parte di Giorgio Washington, il primo Presidente. Ma le dichiarazioni non bastano e così, con buona pace loro, di fatto alcuni sono “più uguali di altri”, specie se gli alcuni sono bianchi e gl’ “altri” sono neri. Accade così che proprio i Paesi che potevano fregiarsi del Bill of Rights, potessero fregiarsi anche di qualcosa di ben peggiore della servitù della gleba che connotava la realtà dei Paesi europei: la schiavitù. Essa fa a pugni con le dichiarazioni e la “Costituzione”, ma se si eccettuano le ricche zone del Nord Est degli States, costituisce uno dei principali nerbi dell’economia reale. Lo sapeva bene anche un brillante giovane avvocato prima e deputato poi: Abraham Lincoln (nato il 12 febbraio 1809 nel Kentucky), il quale proprio per questo si era distanziato dall’intransigentismo di quanti volevano l’abbrogazione immediata, per sostenerne una graduale e politicamente assai più realistica. La questione dilaniava tutti gl’americani, fin dentro le stesse famiglie, dove alcuni erano “pro”, altri “contro”. Dilaniava, ovviamente, anche i Partiti politici, ad es. quello Democratico, fondato nel 1823, e che aveva vinto le elezioni nel 1856, ed il cui elettorato del Nord era contro la schiavitù, quello del Sud a favore. Quello Repubblicano, che aveva alle sue spalle i magnati del Nord Est, vinse nel 1860 proprio candidando Lincoln, già senatore dal 1858. Abraham Lincoln stesso era stato inizialmente restìo – proprio a causa delle proprie convinzioni antischiaviste – ad entrare nel partito dei magnati del Nord Est e vi entrò proprio quando questo si impegnò apertamente contro la schiavitù. L’ascesa di Lincoln al Campidoglio segna dunque la improcrastinabilità della risoluzione della più radicale delle antinomie degli States. A seguito della sua elezione la Carolina del Sud lascia l’ Unione, il 20 dicembre 1861, seguita, a gennaio, da Texas, Mississippi, Florida, Alabama, Georgia e Luisiana che daranno origine agli Stati Confederati del Sud, cui si uniranno in aprile anche Arkansas, Carolina del Nord, Tennessee e Virginia. La guerra inizia il 21 luglio con la battaglia di Bull Run. Le ostilità andranno avanti con esiti alterni fino alla battaglia di Gettysburg (1863), dopo la quale Lincoln con Grant e Sheridan inaugureranno un nuovo tipo di guerra connotata dall’estrema celerità e che sarà studiata e messa in seguito a punto dai generali della Wehrmacht nel secondo conflitto mondiale: il “Blitzkrieg”. E’ grazie ad esso che le sorti volgeranno rapidamente a favore del Nord. Nel 1864 Lincoln è rieletto Presidente, e continua la sua guerra alla schiavitù, in particolare in Parlamento per giungere alla approvazione del 13° Emendamento – abolizione della schiavitù – approvato nel gennaio del 1865. Ferito in un attentato il 14 aprile, Lincoln morirà il giorno successivo. L’ultimo reparto Confederato si arrenderà il 26 maggio, poi ci sarà l’occupazione militare del Sud. La guerra potrà considerarsi definitivamente vinta nel 1869 con Grant Presidente. Il materiale, e soprattutto la titanicità del personaggio, come si vede, anche da questa estrema sintesi è abbondantissimo, anche per un grandissimo del calibro di Steven Spielberg, il quale, proprio per questo ha operato una scelta decisiva: concentrarsi sull’ultimo periodo della vita e dell’opera di Lincoln, e di considerarlo anzitutto dal suo profilo più proprio: quello del grande politico e statista. L’esito è, specie per il pubblico europeo, vincente, in quanto delinea una figura che per la maggior parte di questo pubblico è senz’altro inedita e probabilmente anche controversa. Abbiamo infatti un Lincoln che “baratta” seggi in parlamento, che “quasi” compra voti, spregiudicato, tenace e determinato, spesso anche oltre il “political correct”, ed in questo “spinto” anche dalla sua compagna, in un agire la cui etica è configurabile forse solo a partire dal suo fine: dunque un personaggio anche “macchiavellico”. Il tutto non intacca minimamente la figura, anzi la connota ulteriormente per ciò che essa é: il Presidente più Grande. E’ di gran lunga il più bello dei film firmati dalla regia del grande Maestro.
francesco latteri scholten.