C’erano una volta le ideologie, ora non più.
Esse erano rappresentate dal complesso di credenze, opinioni, rappresentazioni, valori che orientavano un determinato gruppo sociale.
Accanto a questo significato generico, il termine ha tuttavia conservato un significato più specifico e ristretto, che viene utilizzato per indicare dottrine e movimenti politici precisi (comunismo, nazismo, fascismo), accomunati da alcune caratteristiche: la presenza di un retroterra teorico più o meno elaborato, che pretende di fornire una spiegazione esaustiva (e definitiva) dei processi storici e sociali; il tentativo di trasformare totalmente la società e l’uomo, secondo un preciso modello; l’intensa partecipazione emotiva dei militanti, spesso simile alla ‘fede religiosa’; il ruolo-guida di un partito dotato di una ferrea e capillare organizzazione.
Abbiamo visto quanti danni essa ha arrecato e continua ad arrecare in quei paesi in cui perdura una organizzazione “ideologica” dello Stato, segnatamente sul versante della mancanza di tutte le libertà e quindi della compromissione di tutti i diritti civili e politici, che porta alla mancata crescita economica e sociale di quelle comunità.
La fine delle ideologie in molti paesi rappresenta sicuramente un bene nel senso della maggiore apertura e del maggiore confronto che viene ad esserci nella società, non più condizionata dal “pensiero unico” della ideologia.
Ma paradossalmente, accanto a questo aspetto positivo, sta venendo fuori in questi ultimi tempi un aspetto negativo: il vuoto lasciato dalla fine delle ideologie non è stato riempito da quel sentimento positivo chiamato “idealità”. Nella maggioranza della popolazione è subentrato invece un nichilismo diffuso, complice anche la crisi del sistema dei partiti cui stiamo assistendo negli ultimi anni, che ha portato ad una disaffezione verso la politica ed ad un riflusso nel privato.
La causa della crisi dei partiti è da ricercare prima di tutto nella perdita del senso etico della loro funzione, non più finalizzata, come dovrebbe, al perseguimento del bene comune, ma alla ricerca del potere fine a se stesso. A ciò si deve aggiungere una organizzazione dei partiti che non privilegia la democrazia interna, ovvero la rappresentanza degli iscritti al loro interno, nè il controllo sulla gestione e sulla linea politica.
L’art. 49 della Costituzione prevede che “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Tale “metodo democratico”, come condizione essenziale della loro esistenza, non è stato tuttavia dettagliato da una successiva legge attuativa, lasciando la più ampia libertà organizzativa interna ai partiti.
Tra gli elementi che condizionano negativamente la democrazia interna ai partiti si trovano:
– il meccanismo del finanziamento pubblico ai partiti, che ha ne ha istituzionalizzato il sostentamento statale, favorendone la burocratizzazione e la trasformazione in strutture oligarchiche, a discapito di nuovi movimenti politici e della partecipazione interna ai partiti stessi;
– la compatibilità tra incarichi istituzionali e di partito, che portano gli eletti a rispondere al partito prima che agli elettori;
– la legge elettorale proporzionale a liste bloccate senza preferenze, (il cosiddetto “porcellum”), che consente agli “apparati” dei partiti di nominare direttamente i candidati che saranno eletti.
Un’altra causa di disaffezione verso il partito-apparato è da ricercare nel fatto che l’auspicato bipolarismo a cui si doveva pervenire nel passaggio dalla prima alla seconda Repubblica non solo non è avvenuto, (infatti si è assistito e si continua ad assistere ad una proliferazione di partiti), ma con la discesa in campo di Berlusoni è subentrata una deriva populistica senza precedenti, grazie anche alla sovraesposizione mediatica di cui lo stesso ha potuto beneficiare.
Al partito-apparato è subentrato il partito del leader, dai cui “capricci” dipende l’azione del partito, la sua democrazia interna e le leggi che dovranno regolare la vita economia e sociale di una nazione.
In questo marasma, per fare dei riferimenti concreti e locali, a cosa assistiamo? Le persone tendono a dare il loro consenso in base alle convenienze e alle opportunità offerte dal leader di turno. In occasione delle ultime regionali in Sicilia, appartenenti alla lista di matrice berlusconiana che ha appoggiato Ciro Gallo alle ultime amministrative, hanno cercato consensi per il tanto biasimato P.D., dando un buon contributo all’affermazione di quel partito, nel convincimento che, così facendo, avrebbero avuto la possibilità di andare a bussare alla porta di quella parte politica in sede regionale…
Molte persone che fino a poco tempo fa cercavano consensi per l’M.P.A. di Lombardo, ora cercano consensi per altri partiti ideologicamente opposti.
Sta subentrando insomma una sorta di indifferentismo dell’appartenenza che è preoccupante. Il senso dell’appartenenza “ideologica”, di cui si parlava prima, sembra essere distante anni luce! E purtroppo anche l’esigenza di voler perseguire valori ideali forti.
Sempre rimanendo in ambito locale, da indiscrezioni dell’ultima ora, sembra che anche il nostro sindaco stia meditando -(alcuni lo danno già per certo)- di passare con il partito del neo Presidente della Regione Crocetta. Per lui si tratterebbe di un “ritorno al passato”, dato che negli anni trascorsi è stato segretario locale del P.D. prima di saltare sul carro di Forza Italia (P.d.L.) mentre era ancora ufficialmente segretario della locale sezione del Partito Democratico. Così facendo ha percorso tutto l’arco costituzionale: dalla ex D.C. al P.D., a Forza Italia (o P.D.L.), per ritornare ora, a quanto pare, al P.D.
Non c’è da meravigliarsi: Puntare sul cavallo vincente è ormai un vezzo che contraddistingue molti politicanti.
Quello che dispiace, nella militanza politica, è che si continui ad aderire ad un partito o meglio al leader di turno senza guardare al programma, agli obiettivi, in maniera acritica, senza sentire l’esigenza legittima di essere soggetto consapevole dell’azione politica.
Fino a quando perdurerà questo quadro di squallore, che ci porta a pensare che l’azione politica inizi e finisca con il portare consensi a questo o a quel trombone di turno; che sia giusto farsi amico questo o quel deputato regionale così da poter andare a chiedere il favore per un finanziamento, senza invece pretendere che ” quel finanziamento ” ci è dovuto perchè il progetto è buono e merita di per sè di essere portato avanti. Se non si esce una buona volta da questo tipo di politica “amicale” all’insegna del do ut des, da questo relativismo etico e dalla mancanza del senso di appartenenza, la nostra società non farà molta strada.
La classe politica deve essere messa alle strette con un controllo sociale stringente che non può finire con l’adesione acritica a questo o a quell’altro leader soltanto perchè così mi conviene in questo momento.
Giuseppe Scaffidi Fonti