Il 16 settembre 1512 i partigiani dei Medici occupavano il Palazzo e la Repubblica Fiorentina, per conto della quale il nostro aveva avuto incarichi anche importanti, cessava di esistere. Il 7 novembre è privato degli incarichi, e, sospettato di aver preso parte alla congiura del Boscoli, è arrestato, incarcerato e addirittura torturato. L’elezione, l’ 11 marzo 1513 del cardinale de Medici al soglio pontificio, gli aprirà le porte del carcere, il suo ritorno alla vita politica attiva è, per il momento, impossibile. E’ questo periodo di ozio forzato che gli consente di concentrarsi a pieno e di riflettere sulla realtà della vita politica. Pare ormai definitivamente accertato che la stesura delle due opere politiche maggiori sia proceduta ad incastro: Machiavelli avrebbe lavorato inizialmente alla stesura del primo libro dei “Discorsi”, l’avrebbe interrotta per la composizione del “Principe” da luglio a dicembre. Di politica ci si era occupati dall’antichità e le opere anche assai note sono diverse: da “La Repubblica” di Platone, a “La città di Dio” di Agostino, alla “Utopia” di Tommaso Moro o alla “Città del Sole” di Campanella. Tutte caratterizzate da un prius che è un riferimento ideale ed ideologico. Il distacco di Niccolò – come lo sarà un secolo e mezzo dopo per Hobbes – da queste opere è netto: il riferimento è infatti la realtà esperienziale quotidiana dello Stato quale questo in essa si manifesta con il dispiegamento concreto del potere puro e semplice. E, la questione centrale per il nostro, come sarà poi per Hobbes, è quella di garantire lo Stato quale che esso sia, a prescindere cioè dalla sua forma. Lo Stato cioè deve essere solido, organico e funzionale e poco importa che sia repubblicano – cui va la sua preferenza -, popolare o tirannico. E’ ciò che ne fa il fondatore della politica moderna e che ne rende la stupefacente attualità, anche più di Hobbes. A differenza che nei “Discorsi” in cui hanno parte a volte importante i cittadini, il popolo, le diverse categorie sociali etc, la figura di riferimento de “Il Principe” è una sola: quella del principe, appunto. Il Principe deve avere i requisiti, eventualmente anche amorali o apertamente immorali che gli garantiscano di assurgere al principato. Così egli è anche un “uomo nuovo” e quello che egli inaugura è un principato nuovo. Qui si scorge però nel nostro, se non un ideale, almeno un desiderio, un sogno, e ciò lo riavvicina agli autori di cui sopra e fà sì che più compiutamente sia Hobbes il “compilatore” dello Stato moderno. Il sogno, più che legittimo, cui và inclinato il Principe è quello di liberare l’ Italia dalle dominazioni straniere, dalla “ruina d’Italia”, ed egli deve essere tale da poter portare avanti questo compito ed instaurare così il vero principato nuovo. E’ a questo Principe nuovo, la cui figura viene dominando nei capitoli VI e VII e identificato nel Valentino, che vanno i consigli del Machiavelli. Si tratta perciò ora. di verificare se la situazione effettuale italiana sia matura per il suo avvento. La risposta, nelle ultime pagine del celebre opuscolo, è affermativa: “… chi io non so qual tempo mai fussi più atto a questo.” Proprio in questo però il nostro si era evidentemente sbagliato ed occorrerà attendere ancora tre secoli e mezzo. Comunque sia “Il Principe” è e resta un’opera delle più intelligenti della politologia, dalla lettura agevole e, per il suo italiano d’ epoca, gustosa, utile ad una riflessione accurata e profonda.
francesco latteri scholten.