Timur Vermes, come già a suo tempo Chaplin, ripropone quello che è senz’altro uno dei temi più scottanti di sempre, ovvero quello del rapporto tra Mass Media e politica, potere. “Lui è tornato”, infatti, rimette al centro l’immagine del “Grand’uomo di massa”, facendone risultare in piena luce tutta la cialtronesca pagliacciagine, la buffoneria grottesca uno dei cui esiti primi – riflesso sulla propria coscienza – è quello di sentirsi l’ “eletto”, e, di contro, l’abbiezione meschina della massa e del suo “mercato” e dei suoi interessi più squallidi per i quali è fatto il compromesso con il “Grand’uomo” a sacrificio, spesso, specie inizialmente, inconsapevole anche della propria coscienza. Quanto più l’uomo è nel branco – osservava già Freud – e quanto più il branco si ingigantisce ed assurge a massa, tanto più la coscienza individuale si affievolisce sino a svanire del tutto. Le grandi adunanze nazifasciste sono la più scientifica delle verifiche immaginabili alle affermazioni freudiane. Chaplin, di contro, ne “Il grande dittatore”, non solo ne mostra la palesità, ma altresì ed al tempo stesso, la realtà concreta: il grande dittatore è infatti la più autentica delle incarnazioni di un pagliaccio. La più importante conquista per il grande dittatore, anche per “Lui è tornato”, è perciò indubbiamante quella dei Media e poi quella delle coreografie, l’architettura urbana e non, i raduni sportivi e politici. Se però si consulta anche Marshall Mac Luhan, forse il più autorevole studioso di mezzi di comunicazione del Novecento, il quale divide i media in “caldi” e “freddi”, e si ricorda che i nazifascisti avevano a disposizione non la “fredda” televisione, ma il cinema, e, soprattutto la radio, mezzo “caldo” per eccellena, con cui qualcuno ancora alla fine degli anni ’50 in USA seminò il panico tra la popolazione trasmettendo in diretta una presunta invasione aliena, allora si riscontra tanto per Chaplin quanto per Vermes una piccola lacuna: quella di non riuscire a mettere bene in evidenza l’impatto di quello che fu il media primo del nazifascismo. Lacuna dovuta probabilmente a due fattori: l’odierna egemonia del medium televisivo e quella di servirsi di un medium diverso per la propria comunicazione, Chaplin del cinema, Vermes della scrittura, entrambi medium freddi. A parte l’impattazione però i meccanismi freudiani sono resi alla perfezione. Già Pier Paolo Pasolini notava la mediocrità criminale e delinquenziale dell’ “uomo medio”, implicita nelle sue semplificazioni estremistiche di stampo calcistico, nel suo fare di ogni erba un fascio, nel suo conformismo acritico – una vera schiavitù, una delle radici più profonde dell’olocausto, ovvero del sacrificio dei non conformi – nella suo mania di grandezza, vera egolatria a cui tutto è sacrificabile. E, il grande dittatore è grande perché ha il “coraggio” di incarnarli con ferocia e portarli alla creazione di un mondo che è solo immagine totale e totalitaria di sé e negazione altrettanto radicalmente totale dell’ altro. D’altra parte, le grandi coreografie nazifasciste – con buona pace di tanti bei discorsi sull’uomo o sulla donna “veri”, ossia quelli secondo concezione di regime – ci mostrano questo: da un lato il soggetto “totale”, Fuehrer o Duce che sia, di contro masse sterminate di uomini e donne del tutto desoggettizzati e decoscientizzati, milionesima replica fedele dello stesso stampino: la scena della produzione degl’orchi ne “Il Signore degli anelli” è la rappresentazione più fedele. Un monito grida forte dalle pagine di Vermes, ed è quello che l’uomo di oggi, con buona pace del suo recente agghiacciante passato, è tutt’altro che immune alle realtà politiche tragicissime che hanno offuscato il Novecento e che sono e – purtroppo – restano una minaccia incombente, accresciuta, oggi come allora, dalla gravissima crisi economica e dai suoi irrisolti risvolti sociali e perciò politici, esattamente come allora.
francesco latteri scholten.