Accanto alle certamente più scenografiche bagarre in Aula, grida, urla ed altre teatralità atte all’ostruzionismo, lo strumento senz’altro più efficace a questo fine è stato – per gl’aspetti più deleteri della Prima Repubblica – l’ emendamento. Grazie ad esso e ad un suo uso “sapiente” era infatti possibile per le tante forze politiche di consistenza aleatoria o quasi (cancellate, per fortuna, sia dalla storia che dalla politica), bloccare in Parlamento l’iter legislativo delle norme della maggioranza. La prassi era quella magnificamente emulata in questi giorni rispettivamente da SEL, 6 mila emendamenti, e dal M5S, 2 mila. La funzione parlamentare, che è quella – come giustamente sottolineato dal Ministro Maria Elena Boschi – sì del dialogo tra maggioranza ed opposizione non della inversione dei ruoli, veniva così del tutto distorta. Il lento traghettamento al di fuori di queste paludi Stige della politica è stato iniziato nel 1996 dall’allora Presidente del Senato Nicola Mancino, il quale fece riferimento per analogia al procedimento indicato al comma 8 dell’articolo 85 della Camera, il quale consente, bocciato un emendamento, di considerare analogamente e parimenti bocciati tutti quelli simili. Testualmente: “Qualora siano stati presentati ad uno stesso testo una pluralità di emendamenti, subemendamenti o articoli aggiuntivi tra loro differenti esclusivamente per variazione a scalare di cifre o dati o espressioni altrimenti graduate, il Presidente pone in votazione quello che più si allontana dal testo originario e un determinato numero di emendamenti intermedi sino all’emendamento più vicino al testo originario, dichiarando assorbiti gli altri. Nella determinazione degli emendamenti da porre in votazione il Presidente terrà conto dell’entità delle differenze tra gli emendamenti proposti e della rilevanza delle variazioni a scalare in relazione alla materia oggetto degli emendamenti. Qualora il Presidente ritenga opportuno consultare l’Assemblea, questa decide senza discussione per alzata di mano. E’ altresì in facoltà del Presidente di modificare l’ordine delle votazioni quando lo reputi opportuno ai fini dell’economia o della chiarezza delle votazioni stesse.” La procedura è stata poi ripresa nel 2002 e nel 2004 da Marcello Pera. Questi precedenti hanno consentito al Presidente Pietro Grasso di rifarsi al comma 8 dell’art.85, non più solo semplicemente come analogia alla procedura della Camera, bensì anche come prassi del Senato stesso: “la prassi – ha dichiarato lo stesso Presidente – adottata dal Senato ha creato una prassi regolamentare interna al Senato, per cui oggi il Riferimento alle norme interne a Montecitorio «non ha più consistenza”. Sarebbe rimasto tuttavia un problema proprio in relazione al voto sull’elettività del Senato: lo stesso Regolamento Camera prevede infatti il divieto di fare ricorso alle disposizioni dell’ultimo periodo del comma 8 art. 85 per quanto concerne le leggi costituzionali. La questione è stata risolta dalla Giunta per il Regolamento del Senato che ha approvato la prassi del Presidente Grasso con 10 voti contro 4. Al Presidente Pietro Grasso ed alla Giunta dunque il merito di aver finalmente traghettato la prassi procedurale fuori dall’ empasse della Prima Repubblica, a Renzi una vittoria politica: “Le riforme non sono il capriccio di un premier autoritario. Ma l’unica strada per far uscire l’Italia dalla conservazione, dalla palude, dalla stagnazione che prima di essere economica rischia di essere concettuale. Io non lo lascio il futuro ai rassegnati. Questa è la volta buona, costi quel che costi”. Così il Premier nella sua ultima e-news.
francesco latteri scholten