Di certo non potevano passare inosservate le prove ed i primi “Ciak” – specie dopo ch’era trapelata la voce che fosse su Pasolini – dell’ultimo film di Abel Ferrara, Bad Boy del Cinema, affascinante e superlativo quasi quanto Pasolini stesso. Oggi, il lavoro ultimato è in proiezione al Festival. L’interprete, Willem Dafoe – l’avevamo visto superlativo già in “The Reckoning” percorsi criminali di Paul Mc Guigan -, è un grande che non ha bisogno di presentazioni, professionalità al top, una mimica che riprende l’originale alla perfezione, bravissimi anche i truccatori, e così il risultato è davvero strabiliante. C’è chi dice, dopo averla ascoltata e confrontata con l’originale, che anche la voce sia identica al punto da ritenere forse di non doverla doppiare… Chi scrive tuttavia, da cultore di testi pasoliniani, da “Scritti corsari” a “Petrolio” (soprattutto, da filosofo), non ha potuto esimersi da un confronto più attento con le tantissime immagini dell’originale. Ebbene, l’originale ci piace di più, è inconfondibile, al tempo stesso più metafisico e più umano, il paradiso e l’inferno, il giorno e la notte, l’angelo ed il demone. Come d’altronde era lui, le sue poesie, i suoi scritti, i suoi film. Faust e Mefisto dove alla fine Goethe lascia che il primo si salvi tramite la bellezza… Orgiastico o eucaristico come la scena sul pratone della Casilina di “Petrolio”… L’immagine che meglio lo riassume è quella con il Crocifisso in cima al Golgota sullo sfondo, dove Dio e l’uomo muoiono insieme per insieme in quel momento preciso immortalarsi: il Regista e l’Interprete. Oggi il regista e l’interprete sono ovviamente cambiati e, se la rassomiglianza fisica è maggiore per l’interprete, quella professionale e anche umana è maggiore per il regista. Escluso l’alcool e la droga – è “uscito” da un anno e mezzo grazie alla comunità di Leo Amici nel napoletano – e la connotazione religiosa di stampo buddista, Abel Ferrara, nonno italiano, presenta similitudini di vita affini a quelle di 3P: “Ragazzi di vita”, la strada, la violenza, ma anche la bellezza, anche se nel suo caso i luoghi sono ovviamente diversi: il famigeratissimo Bronx invece di Casarsa. Per entrambi tuttavia, il regista e l’interprete, l’obbiettivo è estremamente ambizioso, ma al tempo stesso assai difficile. Estremamente geniale, divino e maledetto, Pasolini è irriducibile, è insemplificabile, uno Spirito ed un pensiero connotati dalla vastità, dalle contrapposizioni più abissali, ineffabile, ed in questo è il suo fascino. La scelta di Ferrara è stata così quella di concentrarsi solo sulle ultime 24 ore di vita di Per Paolo, dall’ 1 al 2 novembre del 1975. E’ una scelta che ha indotto molti a pensare che il film voglia allora far luce di nuovo sul “caso Pasolini”, cosa smentita da Abel in una recente intervista: “Me ne fotto. Questo è un film, non un’indagine. Non me ne frega niente di chi l’ha ammazzato e come. Io mi occupo della tragedia, di quello che abbiamo perduto. Pasolini è morto a 57 anni, avrebbe potuto continuare a dire e fare tantissimo…” L’esito quale espressione ultima radicale e profonda del senso di una vita pienamente vissuta, la via a Gerusalemme, la croce sul Golgota. Rilke scriveva, “… dà, o Signore, a ciascuno la sua morte.” … Comunque sia, una cosa è certa: l’ottimo “Giovane Favoloso”, il Leopardi del bravissimo Martone ha un degnissimo avversario, e, non vorrei trovarmi tra i giudici a dover scegliere a chi dare il Leone d’oro.
francesco latteri scholten.