Lunedì 23 febbraio, presso la libreria Feltrinelli Point di Messina ha avuto luogo l’incontro con lo ‘scrittore del decennio’ Erri De Luca, che ha presentato il proprio pamphlet “La parola contraria” difendendosi dalle accuse che lo vogliono istigatore di azioni criminose e contravvenzioni ai danni della società LTF sas e del cantiere Tav LTF in località La Maddalena di Chiomonte (To), area di interesse strategico nazionale. L’autore esordisce con la parola. La parola come mezzo, ‘utensile’ di cui ci serviamo per raccontare, raccontarci e raccontare gli altri, soprattutto chi non puo’. È quello che fa il nostro scrittore, figlio del secolo delle migrazioni e della seconda guerra mondiale, uditore di voci napoletane, le cui storie, penetrando i suoi sensi di adolescente, hanno formato una educazione sentimentale e risvegliato in lui paura, compassione, collera e vergogna, che egli stesso definisce ‘sentimento politico’. “Essa è inestirpabile, resta lì come una rogna finchè non reagisci, non rispondi, non cerchi di contrastare la vergogna che stai provando. Per questo il bisogno di dare una risposta diventa un bisogno politico”. La parola conosciuta attraverso la lentezza e la musicalità della lingua italiana e la divinità dell’Antico Testamento che alla parola affida una responsabilità creatrice. Dio “disse” , il verbo più abbinato al nome della divinità, che si manifesta nella parola e non nell’immagine che la ridurrebbe ad una forma, a idolo. La parola sacra fa avvenire le cose. Dio parla, dice e il mondo obbedisce. Non a caso in ebraico uno stesso termine congiunge parola e fatto compiuto in un unicum, come lo scrittore specifica. L’amore per la parola lo spinge a controbattere alle accuse che, nella denuncia depositata alla Procura della Repubblica di Torino il 10 settembre 2013, gli addossano come corpo di reato alcune sue frasi rilasciate al sito web Huffington Post- gruppo Espresso, in cui utilizzerebbe il termine antidemocratico ‘sabotaggio’. Le stesse accuse lo dicono istigatore di azioni delittuose, perchè favorevole alla protesta ‘NO TAV’ da dieci anni attiva in Val di Susa.
Alla prima risponde richiamando alla memoria il suo passato di operaio, (ricordando a tal proposito la manifestazione degli anni ‘80 contro il picchettaggio che per trentasette giorni bloccò l’accesso degli operai alla Fiat Mirafiori, al cui picchetto prese personalmente parte) dicendo che non esiste nulla di più democratico dello sciopero, volto a sabotare la produzione o un’opera ritenuta ingiusta. Inutile specificare che la frase riportata nell’intervista, contenente il verbo criminogeno “la TAV va sabotata” va letta in termini politici più che alla lettera, con l’attenuante di un sostrato culturale che vede lo stesso termine liberamente usato da personalità del calibro di Gandhi e Mandela. All’accusa di istigazione ribatte con la retorica domanda:”Cosa potrebbe fare uno scrittore se non istigare a leggere o a scrivere? Se le sue parole danno adito ad episodi violenti lo scrittore non ha colpa”. Più che istigare, preciso scopo dell’autore è quello di formare ed indirizzare il senso di giustizia specialmente nei giovani. “Se ci fosse un Orwell oggi, vorrei esserlo io per i giovani. Vorrei essere lo scrittore incontrato per caso che ha mischiato le sue pagine ai nascenti sentimenti di giustizia che formano il carattere di un giovane cittadino” afferma, col riferimento all’opera dello scrittore inglese Omaggio alla Catalogna che generò in lui empatia per gli anarchici spagnoli e innescò un nuovo input politico. Il dibattito creatosi al termine del suo intervento lascia chiaramente trasparire un intellettuale lungimirante, che sulla stessa linea d’onda del Pasolini, non teme di spostare i confini del pudore e delineare il perimetro della materia al lettore. Un animo combattivo e fremente di sapere se sarà prosciolto o condannato. Commovente l’intervento finale di una studentessa che ringrazia lo scrittore di essersi fatto portavoce costante di chi non è in grado di servirsi dello strumento della parola e di aver fatto luce su crude realtà spesso passate sotto banco o non considerate nella loro gravità. Aspettando di sapere se anche questa volta l’ingiustizia farà il suo corso, unitamente all’appello della ragazza e a tutti coloro che si sentono vicini allo scrittore in questa sua causa, si chiede all’autore di non smettere di dare voce ai sordomuti, agli analfabeti, agli immigrati uccisi o morti ingiustamente, ma di continuare a credere, a testimoniare il valore della giustizia, della volontà di resistenza civile e del sentimento politico. Punti fermi che si concretizzano nella forza della parola di un uomo che si è messo al servizio della comunità e che adesso rischia di essere punito per questo.
Cristina Scaffidi Fonti