C’era una volta il senso dell’appartenenza.
Sembra paradossale, ma almeno all’epoca delle ideologie questo senso c’era.
Non che adesso quest’ultime siano scomparse, ma hanno assunto una connotazione diversa. Prima erano legate alla politica, alla forma partito, inteso come contenitore nel quale ritrovarsi, identificarsi, riconoscersi. Adesso invece le ideologie, (nel senso prima detto), sono state soppiantate dagli idoli- leader dei partiti o di quello che di quest’ultimi è rimasto.
Prima vi era la Destra, il Centro, la Sinistra; poi, per meglio identificare un’area, per apparire meno “estremisti” e per cercare di “pescare” nell’elettorato moderato si è passati a chiamarli Centro-Destra, o Centro-Sinistra. E questo allargamento dell’area può avere una giustificazione nella tendenza del sistema politico a procedere verso i cosiddetti Poli. Ed ecco che giungiamo al cosiddetto polo delle libertà di stampo berlusconiano, da una parte, e al polo riformista nell’ambito del centro sinistra, dall’altro, (vi ricordate l’Ulivo all’epoca di Romano Prodi?). Insomma si procedeva e si continua a procedere verso le aggregazioni di partito, per evitare, si dice, le frammentazioni a discapito della governabilità. Nobile obiettivo se non fosse vanificato dall’esigenza più terra terra di acquisire più consensi possibile in base alle regole elettorali vigenti, senza pensare prima ai programmi da realizzare e alla condivisione degli stessi, con la conseguenza di assistere alle lotte intestine nei partiti stessi. Vedi quello che sta accadendo in casa DS.
Senza voler entrare nel merito di vicende giudiziarie ancora in corso, il cui giudizio spetta alla Magistratura, fa riflettere però assistere a certe trasmigrazioni, come quella annunciata nei giorni scorsi dal deputato messinese Francantonio Genovese, ex DC-Partito Popolare, poi passato ai DS e ora prossimo a passare a Forza Italia.
Ma quello che fa più pensare non è tanto la sua decisione di cambiare schieramento dopo l’autorizzazione all’arresto votata alla Camera il 15 maggio 2014, (potrebbe essere in un certo senso giustificata come reazione al fatto di essersi sentito abbandonato dal suo partito), ma che una folta schiera di sindaci, che a lui faceva riferimento, sembra pronta a fare lo stesso “salto”.
Questo esempio è emblematico di quanto sia fragile quel senso di appartenenza cui si accennava e quanto invece siano forti altri legami di tipo “familistico amorale”, o nell’ambito di certe consorterie, unite per la difesa o la conquista di particolari privilegi leciti o illeciti anche a danno degli interessi altrui e del bene comune.
E’, in altre parole, il problema del consenso, o per meglio dire della sua acquisizione da un lato e della sua elargizione dall’altro. Fino a quando esso dipenderà dal bisogno degli elettori, dal desiderio di avere potere fine a se stesso per godere di privilegi e prebende, sino a quando l’espressione del voto non sarà veramente una scelta consapevole, libera e “disinteressata”, senza essere influenzata da tali negativi elementi perturbatori, la nostra democrazia non progredirà veramente.
Giuseppe Scaffidi Fonti