Durante il passaggio del Giro d’Italia nel Parco dei Nebrodi, mi è capitato di ascoltare l’intervista televisiva fatta al Direttore del Parco, che non ha potuto fare a meno di parlare di mafia, -(con corredo fotografico dell’auto su cui viaggiava, oggetto di un’azione delinquenziale)-, diffondendo ancora una volta, anche in questa occasione, che doveva essere all’insegna dello sport, della gioia, un’immagine lugubre o comunque non certamente bella del nostro territorio ai fini di una promozione turistica.
Penso agli ascoltatori che hanno dovuto subire un’elencazione esclusiva di negatività.
Per quale motivo coloro che hanno sentito quell’intervento dovrebbero venire nel Parco dei Nebrodi?
Ho l’impressione che di un singolo e strano episodio, catalogato come “mafioso”, enfatizzato e “pompato” a dismisura, crogiolandosi su di esso in una sorta di perverso godimento, senza sentire l’esigenza di fare alcun distinguo rispetto a tutte le altre cose positive esistenti, si stia facendo una bandiera per uso personale.
Cui prodest? A chi giova?…..
Mi chiedo: Ma in un contesto come quello del giro d’Italia, che poteva essere utilizzato come una vetrina per veicolare presso un vasto pubblico le cose positive e belle esistenti nel nostro comprensorio, per invogliare le persone a venire da noi, che senso ha ergersi a paladino dell’antimafia, parlare solo di se stesso in un crescendo egocentrista senza limiti e decontestualizzato. Perchè non parlare invece della stragrande maggioranza delle persone oneste, laboriose che vivono nella nostra terra, del patrimonio paesaggistico, storico-culturale-architettonico, paleontologico, del cavallo sanfratellano, della biodiversità, dei distretti manifatturrieri e di tutte le altre cose belle che ci sono, delle attività che si svolgono e che invece di ignorare, andrebbero valorizzate?
Questo mio pensiero va alla stragrande maggioranza delle persone per bene che vivono e che con grandi sacrifici lavorano nella nostra terra, di cui nessuno parla, nemmeno chi avrebbe il dovere istituzionale di farlo.
Giuseppe Scaffidi Fonti