Apprendere che si continuino a perpetrare abusi nell’ambito delle assunzioni nella Pubblica Amministrazione, non è una novità, si sa, la raccomandazione e le scorciatoie sono state da sempre una costante in tutte le società.
Ma quando questo modo di operare vede come protagoniste quelle che dovrebbero essere le espressioni più alte del nostro sistema, come l’Università e la Magistratura, invischiate in un mercimonio che certamente non premia il merito, allora il pessimismo prende il sopravvento e l’ottimismo della volontà fa difficoltà a prevalere e uscire dal pantano di un sistema collaudato di scambio di favori.
Quello che è accaduto nell’Ateneo catanese in questi giorni, con la Magistratura che indaga su concorsi universitari “pilotati”, probabilmente non è un caso isolato, non credo che altre realtà siano immuni dal rischio di contaminazioni dello stesso tipo, ma per la realtà siciliana quanto sembra accaduto, (il dubbio resta fino a quando la giustizia non fa il suo corso, e nel nostro sistema giudiziario vige il principio della presunzione di innocenza sino alla condanna definitiva), assume una connotazione ancora più grave a causa del contesto socio economico della nostra Regione, dove il 26% dei giovani dell’Isola preferisce varcare lo stretto e studiare altrove.
I giovani preferiscono lasciare la famiglia, con grandi sacrifici economici da parte di questa, perchè considerano l’andare altrove l’alternativa al precariato e alla mortificazione delle liste di attesa del potente di turno e della scarsa possibilità che venga premiato il merito e la capacità, disincentivando così il loro impegno.
” I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi “… recita l’art. 34 della nostra Costituzione, ma il rischio che questo principio resti solo sulla carta, senza essere concretizzato nella realtà, è molto forte se non si esce dalla logica familistica e clientelare.
E triste constatare come continuino a perpetuarsi meccanismi orientati all’esclusione di coloro che non fanno parte di quel clan universitario, di quella casta, di quella cricca, di una loggia massonica, o non essere figli o parenti di…, e come questi meccanismi inducano nel convincimento della irrimediabilità di questo circolo vizioso i nostri giovani, spingendoli al disimpegno e alla fuga.
“Contano i parenti piuttosto che i talenti” scriveva qualche giorno fa il costituzionalista messinese Michele Ainis. “E infatti la mobilità intergenerazionale – che misura la probabilità di schiodarsi dalla classe di reddito dei propri genitori – in Italia è 3 volte più bassa rispetto agli Stati Uniti. Di conseguenza il 60% degli italiani rimane intrappolato nel suo ceto d’origine (Ocse 2018)”. E continuava:
“Se ogni ateneo, promuove i cuccioli di casa, sbarrando la porta agli studiosi che bussano da fuori, se tutto questo accade – e accade – allora c’è un problema che riguarda non tanto la cultura, quanto piuttosto l’istruzione.(Ri)cominciamo da lì. “
Si può sperare che cessino questi abusi e che le procedure concorsuali si svolgano con la massima trasparenza senza scoraggiare dalla partecipazione i migliori, premiando così veramente il merito e non l’appartenenza ad una delle tante caste?
Giuseppe Scaffidi Fonti