Una volta la chiamavano secessione, ora la chiamano autonomia differenziata.
Cambia la forma, ma non la sostanza. Prima la Lega Nord propugnava la secessione e la costituzione di quattro macro-regioni, teorizzate dall’ideologo della Lega Gianfranco Miglio, a cui si deve gran parte delle elaborazioni teoriche dell’iniziale progetto federalista (Cfr. Come cambiare. Le mie riforme, 1992). Adesso la “nuova” Lega, nell’intento di carpire consensi nell’aria moderata, cambia il nome a quello che è stato e continua ad essere il loro vero progetto politico, ossia quello di divedere l’Italia a dispetto dell’Unità nazionale propugnata dall’art. 5 della nostra Costituzione.
“La Costituzione italiana è nata sulla base del consenso radicato nella temperie culturale prodotta dall’evento della seconda guerra mondiale. Sono da ritenersi immutabili i suoi principi fondamentali: unità e indivisibilità della Repubblica, primato della persona, rilevanza costituzionale dei corpi intermedi, diffusione del potere“. Così Giuseppe Dossetti interveniva nel 1994 in risposta ai progetti di riforma costituzionale del primo Governo Berlusconi e in relazione ai progetti di riforma in atto tornano attuali le sue riflessioni che Aggiornamenti Sociali – (n.d.r. Rivista dei Padri Gesuiti) – aveva già pubblicato nel novembre 1994.
Quello di cui stanno discutendo in Parlamento in queste ultime settimane è un disegno di legge che vede come primo firmatario il ministro degli Affari Regionali, il leghista Roberto Calderoli, un disegno di legge divisivo, in tutti i sensi. Stiamo assistendo ad una esasperazione delle contrapposizioni politiche sia dentro le aule parlamentari, sia nella società civile. Siamo spettatori, impotenti e quasi rassegnati, di fronte al dispotico tentativo di scavalcare la più ampia condivisione di intenti in relazione ad una scelta così importante che viene attuata “a colpi di maggioranza”, senza che vi sia un serio dibattito nelle istituzioni.
Ciò si verifica grazie al patto scellerato tra Lega e Fratelli d’Italia che prevede il reciproco appoggio per arrivare al separatismo di fatto propugnato dalla Lega e al Premierato (che dà molti più poteri al Presidente del Consiglio), auspicato da Fratelli d’Italia.
Mentre Forza Italia sta a guardare, cercando opportunisticamente di prendere le distanze formali dalle altre due forze politiche alleate, queste ultime, pur cercando di imbellettare la loro immagine in vista delle elezioni europee, tradiscono sullo sfondo il loro essere sempre populisti, regionalisti, sovranisti ed euroscettici, basti pensare ai rapporti che continuano a coltivare con leader europei ultranazionalisti e dichiaratamente antieuropeisti, i cui modelli vengono presi ad esempio.
Vi è concretamente il rischio che questo cambiamento dell’assetto costituzionale venga portato a termine senza l’attivazione di quella particolare procedura di “aggravamento”, (doppie letture, referendum ed altri passaggi previsti dalla nostra Costituzione), allorquando occorre attuare modifiche alle leggi costituzionali.
Il disegno di legge Calderoli, infatti, parte dall’assunto che la Costituzione Italiana, all’art. 116, prevede la possibilità che con legge ordinaria si possano attribuire alle Regioni italiane (sia esse ordinarie sia a statuto speciale), ulteriori forme e condizioni di autonomia per 23 materie, come l’istruzione, la sanità, etc., attraverso una semplice intesa tra Stato e Regione.
Il rischio che si corre è che si faccia confusione tra forma di Stato e forma di Governo e che si dia priorità a quest’ultima, facendo prevale la dimensione politica rispetto a quella istituzionale, con la conseguenza che inevitabilmente si cercherà di favorire le Regioni amiche del Governo concedendo a queste più autonomia rispetto a quelle “non amiche”.
In altre parole, se continua la linea che sta portando avanti questo Governo, gli amici degli amici otterranno di più, sia a livello di autonomia sia a livello di finanziamenti. Questo violerebbe l’art. 3 e l’art. 117 punto m) della Costituzione, il quale dispone la determinazione di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (sanità, scuola, etc.), che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
E qui sta appunto il problema più spinoso: come si calcolano questi L.E.P. (Livelli essenziali di prestazioni)? Sta prevalendo la tendenza a fotografare la situazione attuale, senza alcun riguardo alla condizione di arretratezza del Mezzogiorno, cercando di compensare lo squilibrio tra il Nord ed il Sud o tra le regioni, con il conseguente risultato di ampliare ulteriormente il divario esistente tra queste.
Come se, stando alle recenti affermazioni di un politico locale transitato nella Lega, fosse più corretto parlare di “questione italiana”, svilendo l’importanza storica della questione meridionale.
Giuseppe Scaffidi Fonti